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Risonanza, biforcazioni e fluttuazioni

  Sul dilemma tra necessità e possibilità, ritengo sia determinante l'intervento di Ilya Prigogine, laddove, nella processualità...

28 marzo 2019

Ilya Prigogine*

 In corso di aggiornamento e modifica
Prossimamente la nuova edizione
Mi emoziono ancora nel leggere la dichiarazione con la quale Ilya Prigogine - a pagina 32 de’ "Il futuro è già determinato?" (Di Renzo Editore) sulla cui copertina figurano i volti di Parmenide ed Eraclito -  asserisce di non sapere quale sarà la posizione della luna tra un milione di anni, ma che l'esistenza di milioni d’insetti che osserviamo è una prova di quella che potremmo chiamare la creatività della natura*.
Di là dal fatto che la natura crei o no sé stessa (ma questo non è il problema di Prigogine), l’Autore dimostra in poche pagine che il dilemma può essere inserito in una cornice matematica esatta. Qui non è necessario riassumere oltre lo svolgimento del tema, perché le sue argomentazioni, indipendentemente dal linguaggio usato, sono già sufficientemente efficaci per confutare certe tendenze di pensiero contrarie, che, con caparbia e pervicacia, vogliono sopravvivere in tema di evoluzione.
Seguo l’eminente scienziato nel chiedermi se tutti i fenomeni compresi nelle scienze, siano integrabili.
Ovvero, stabilito un principio scientifico come quello osservato nella fisica classica, esiste, per il tempo, una direzione privilegiata sula quale fare previsioni esatte anche per le Scienze Umane sulle quali grava il nostro stesso arbitrio?
Ilya Prigogine ci ricorda che, per la fisica classica, il futuro e il passato giocano lo stesso ruolo e tutto procede in modo predeterminato e che, per la termodinamica, tutto va verso la morte: la morte termica.
Parmenide - Eraclito
Se, quindi, fosse data risposta affermativa al quesito insito nel titolo del libro, si potrebbe affermare che, nelle scienze sociali, Il futuro è determinato nella misura in cui si possa prevedere la data della scomparsa universale del disagio di povertà.
Oggi il malato guarisce con l'uso appropriato di medicine ottenute con la ricerca scientifica. Con essa si scoprono rapporti di causa - effetto e interdipendenze rilevati con la sperimentazione ed il campionamento statistico portando a risultati di certezza di guarigione che lo stregone d’un tempo non era in grado di assicurare. Allo stesso modo, quando il malessere sociale cresce per difficoltà di accesso alle risorse, oppure quando queste ultime sono gestite con minore efficienza, conviene ricorrere ai metodi applicativi propri delle scienze umane, quali la psicologia, la sociologia e l’economia, con l’intento di ricomporre l’equilibrio tra i fattori di produzione senza ricorrere alla sovrabbondanza di vincoli che nascono dalla disputa politica tra chi difende l’ambiente e il lavoro e chi gestisce l’impresa e il capitale.
Verrebbe da osservare che pochi ricchi: troppi infelici; molti poveri: pochi felici; tanti ricchi: tutti felici, ma ritengo che questa convinzione sia viziata dal mettere sullo stesso piano il rapporto di ricchezza e felicità con quello di povertà e infelicità.
Ben s’intende, queste mie considerazioni valgono per società benestanti; cioè per quelle, dove il benessere è diffuso.
Queste società, tuttavia, tendono a frammentarsi in classi in modo che l’una riservi a sé il dominio sui fattori produttivi e l’altra possa scegliere i consumi solo tra quelli che la prima concede. Così risulta che la classe dominata dipenda esclusivamente da ciò che concede la classe dominante e che si realizzi, in parte dei dominati, un equilibrio economico alterato da un diffuso disagio sociale per effetto della privazione della libertà di intraprendere.
In verità, non è solo questo il motivo dell’inesistenza di correlazione tra benessere che è cosa materiale e felicità che è cosa immateriale. Ricchezza e felicità abbracciano insieme sentimenti mossi dalla religiosità, dal senso morale e dal senso estetico trasformandosi nelle passioni che sconvolgono gli istinti sino allo scatenarsi di pulsioni generalizzate anche violente.
Il Papa, una domenica nel mese di luglio 2014, recatosi nel Molise in visita al Santuario di Castelpetroso, dichiarò che la vita è fatta per cercare amicizie e valori che durino per sempre. Il cuore aspira a cose grandi, a valori importanti, ad amicizie profonde, a legami che si irrobustiscono nelle prove della vita anziché spezzarsi. L'essere umano aspira ad amare e ad essere amato. Questa è la nostra aspirazione più profonda: amare ed essere amato.

Ne consegue che il collante sociale e la felicità delle persone inizia dal rispetto per l’altro e dalla sollecitazione che l’altro esercita nell’imbastire una reciproca comunanza di sentimenti e di affetti.
La ricerca della ricchezza non è quindi determinante per ottenere l’equilibrio sociale.
Sino ad oggi, si è ritenuta risolutiva la gestione delle risorse che si ricavano dai fattori di produzione che sono la terra, il capitale, il lavoro, l’impresa. E’ ancora assente il collegamento tra economia e società e, per i motivi che svilupperò parlando della civiltà dei consumi (Cap. 4), ai quattro fattori di produzione, sembra necessario - proprio in relazione al dover contrastare i disagi sociali - aggiungerne un quinto, costituito da strutture con valenza deontologica[1], guidate da persone agenti già individuate come Propagatori istituzionali nelle teorie di Giovanni Demaria.
Infatti, l’economia, ancora oggi, è protesa sull’impresa che produce profitti. Il profitto costituisce la remunerazione dell’impresa, quindi, nella logica economica, non può esservi impresa che produca qualcosa di diverso. Ora, invece non si tratta di attuare equilibri economici ma equilibri sociali, per cui è logico pensare che all’impresa economica si accompagni l’impresa sociale, sia pure tenendola distinta per non inficiarne l’efficienza secondo il principio che ognuno sappia fare il suo mestiere.
Dal ché, indipendentemente da come sono ottenute per via pubblica o privata, le risorse, oltre a produrre reddito, necessitano di essere convogliate per creare un benessere diffuso dando origine alla definitiva scomparsa del censo e delle classi sociali e, conseguentemente anche della povertà.
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In prima approssimazione, per effetto di eventi avversi, considero che, nei gruppi politici, (famiglia, comunità, popolo, stato, nazione), le risorse cessino di essere sufficienti nel mantenere il tenore di vita raggiunto.
Nella maggior parte dei casi, la reattività generata per effetto del succedersi dei fatti non attesi, è sufficiente per mantenere nei gruppi lo stato di benessere attraverso un oculato impiego di quanto si dispone; in tal modo, la società cresce seguendo lo stesso passo del consumo per ridurre l’effetto entropico ricavato dallo sfruttamento delle risorse endogene cioè quelle interne al sistema.
Quando, invece, l’energia viene a mancare, l’entropia aumenta e il benessere decade, non tanto per la mancanza di fonti esterne prima attinte, ma per la sensazione d’impotenza che la mancanza stessa genera.
La reattività che deriva principalmente dall’azione di forze esterne al settore dell’economia, è alimentata da agenti che operano in certe condizioni di costrizione e formano aggregazioni che hanno finalità diverse dall’essere utili alla comunità. Le istituzioni espresse ora, specie in Italia, dall’azione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, in un sistema culturale ed educativo che invade il campo della discrezionalità dei cittadini, dovrebbero cessare dal considerarsi ordinatrici del percorso di vita degli amministrati ma divenire agenti propulsori perché i rapporti umani continuino ad essere trattati sulla base delle leggi del libero mercato limitatamente alla sola circolazione e allo scambio dei beni materiali.
Va infatti osservato che i beni immateriali non hanno un valore e la vita, la libertà, la famiglia e l’onore siano pertanto intesi nella loro incommensurabilità e solo per il possesso di chi ne è parte. Il suffragio universale preclude allo Stato la possibilità di classificare i cittadini secondo il censo, per cui la vita e la sua espressione ha lo stesso valore per tutti. Manca alle attuali istituzioni il carattere di sussidiarietà perché possano essere loro stesse costituite come fattore di produzione. Ora sono solo un costo per la fornitura di servizi indefinibili e inefficienti per opera di una burocrazia devastante.
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Nel modo classico con cui si studia la storia degli uomini, si giunge a riassumerla iniziando da un’origine e col valutarne il corso attraverso i modelli esistenziali succedutisi nel tempo per effetto delle mutazioni generate dagli eventi esogeni, esterni al sistema socio economico.
 Lo studio riguarda gli atti significativi commessi dagli individui per trarre dalla natura le risorse per sopravvivere e mantenere intatte le peculiarità distintive della specie umana.
Le risorse hanno un duplice connotato: un’identità corporea che è la materia delle cose che le costituiscono e una matrice immateriale. Nel loro insieme, formano la scia nella quale si legge che gli atti umani, nel loro complesso, sono frutto di sapienza che è coscienza, intelletto e conoscenza insieme.

Insomma, le risorse esistono in quanto usate dall’uomo come artefice!

L’alternarsi dello sviluppo e decadenza delle civiltà, dimostra che una certa concezione deterministica della storia abbia un fondamento logico, ammesso però che ogni storia sia fine a se stessa e riguardi la materialità delle persone e dei gruppi che ne sono protagonisti.
Nel lungo periodo, la storia mostra anche una continua evoluzione costituita dal fatto che, nel tempo, il benessere dipende sempre meno dalla fungibilità dei beni materiali che si producono, ma dalle peculiari risorse che si spiegano nel soddisfacimento dei bisogni immateriali. Segno importante di quest’andamento evolutivo è la cultura che segna il percorso delle nostre opere da apprezzare nei loro contorni intellettuali, spirituali ed estetici e non più per i loro effetti di sola efficienza materiale. Ritengo che i principi universali astratti di Dio, Patria, Famiglia e Persona siano i pilastri dell’evoluzione umana e segnino lo sviluppo quando siano unitariamente intesi e, decadenza, quando l’anello che unisce gli uni agli altri si spezza.
Quando la continuità del corso storico è impedito da perturbazioni che sono un flusso di eventi che ne rompono la ricorrenza, questi assumono un carattere di imprevedibilità generando non più accadimenti attesi con un grado di certezza determinabile, ma un nuovo corso il cui sviluppo non è prevedibile ma sicuramente diretto a creare un nuovo modello esistenziale (paradigma) consono al contesto storico ed ambientale modificato.
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I fenomeni non possono essere spiegati all’interno di un sistema isolato. L'esistenza di Dio non può essere spiegata né dalla teologia, né dalla filosofia, perché trattasi di verità auto-referenziate non dimostrabili, come afferma Gödel nel suo teorema sull’incompletezza in base al quale nessun sistema coerente può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza.

Nell'ambito dei rispettivi sistemi, queste identità sono credenze che si trasformano in dogmi o assiomi comportanti atti di fede sostenuti dalla volontà, dalla ragione e dall’esperienza. San Tommaso Apostolo c'insegna qualcosa al riguardo: vedendo il costato ferito del Cristo ha creduto, e quando ha creduto avrebbe anche potuto o voluto continuare a non credere. Gli egiziani hanno costruito le piramidi prima che Pitagora esponesse il suo famoso teorema! Occhio ai flussi, alle discontinuità, alle nuove tendenze che si susseguono nelle fasi di regolarità! Sono Follie, che, col loro preannunciarsi anche in modo impercettibile, possono darci potenti segnali sugli sviluppi che il futuro ci riserva.
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Qui desidero significare che la verità scaturisce non tanto dal fatto che sia vero che San Tommaso Apostolo abbia visto la ferita nel costato di Cristo, ma dal fatto che l’evento della Morte e Resurrezione di Gesù Cristo ha generato un corso storico millenario che tutt’ora vive. Il messaggio evangelico è l’atto d’amore concesso da Dio che ci lascia liberi di scegliere la via giusta tra le opportunità che offre la vita.
Ai tempi del Trattato di Yalta che divise il mondo in blocchi ai quali ancora oggi le nazioni sono legate tra loro con i patti NATO, e del Pacifico in contrapposizione al Trattato di Varsavia, si sosteneva che l'impero sovietico fosse un colosso dai piedi d'argilla.
Da allora, nel 1989, erano trascorsi quarantaquattro anni. Crollava il muro di Berlino e chi aveva vissuto i tempi della seconda guerra mondiale ed era ancora in vita, godeva finalmente la soddisfazione di vedere realizzata la convinzione che, realmente, il comunismo aveva costruito un colosso dai piedi d’argilla. Ma non era così! L’Unione Sovietica crollava, non il comunismo.
Rinnegare Dio, materializzare i sentimenti, collettivizzare le persone indottrinandole per adattarsi alla società e vincolandole ad un percorso di vita nel quale nessuna iniziativa individuale fosse consentita se non programmata dal partito. Questo era il viatico profuso al posto di una cultura che consentisse a tutti di scegliere la via giusta tra le opportunità che offre la vita. In società la libertà si realizza solo quando le persone hanno la prospettiva di essere vincolate solo alla propria coscienza e al senso di responsabilità.
Ma questa è la prospettiva vincente quando le persone sono valutate per quel che valgono in relazione al censo. Più guadagni, più vali. Meno guadagni e più pretendi e questa pretesa fa sorgere diritti immeritati e la lotta di classe per costituirli. Esiste un contrasto secolare tra impresa e lavoro sorto dai primi tempi dell’industrializzazione secondo il paradigma dell’appropriazione della fetta più grossa dal ciclo di produzione, consumo e risparmio.
Si è formato quindi un contrasto di forze accentuato dall’eccessiva fiscalità dello Stato per tenere alta la sicurezza sociale, che si articola tra i detentori del capitale e i lavoratori sindacalizzati. Oggi, il dissidio tra singolarità nel possesso di capitale e la collettività che raccoglie la forza lavoro agita ancora i sonni di psicologi, sociologi, economisti e politici. Forze persistenti contrastano il cambiamento e non si piegano alla ragione di restituire alle persone l’anima che è fonte generatrice del bene, quell’anima che potrebbe trasformare il salario in profitto, solo se ognuno divenisse, sin da quando nasce, imprenditore di sé stesso. E questa sarebbe la via giusta da seguire ove gli agenti politici offrissero opportunità al riguardo.
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Ilya Prigogine sembra convinto che si possa arrivare all’integrazione tra passato e futuro; tuttavia, per ora, dice che siamo fermi alla biologia e tra la sociologia e la psicologia. Forse nuove scoperte in campo scientifico, porteranno nuovi elementi per fare previsioni temporali.
Oggi, contentiamoci di ciò che sappiamo già di un futuro con le potenzialità evolutive positive.
Concludo col dire che, nell’ambito dei rapporti umani, il fattore deterministico che lega i fatti gli uni agli altri, dà traccia delle tendenze con tutto il carico di indeterminazione che esse stesse generano per le loro finalità; mentre il manifestarsi di eventi esogeni, nel loro intrecciarsi tra correlazioni e discontinuità, deve essere circoscritto in studi specifici per accertare quanta parte deriva dall’immanente e quanta parte dal trascendente.
Il problema è da sempre lo stesso, ma l’approccio, seguendo la metodologia proposta, darà sicuramente interessanti risultati.

Entelechia.
Più sopra ho scritto che, nel lungo periodo, la Storia mostra una continua evoluzione costituita dal fatto che il benessere dipende sempre meno dalla fungibilità dei beni materiali che si producono, ma dalle peculiari risorse che s’impiegano nel soddisfacimento di bisogni immateriali. Addietro ho anche rilevato che, quando la continuità del succedersi dei fatti è impedita da perturbazioni - che sono un flusso di eventi che rompono la ricorrenza del corso storico - gli accadimenti assumono un carattere d’imprevedibilità e generano non più fatti derivanti dal concatenamento di cause ed effetti attesi con certezza ma eventi generanti una dinamica che sfocia in un nuovo corso storico. Lo sviluppo non è determinabile, ma sicuramente si articolerà nel creare un modello esistenziale consono al contesto fisico e ambientale modificato.
Ora si tratta di completare il ragionamento e considerare cosa succede osservando la successione di corsi storici.
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Il termine entelechia fu usato da Aristotele per designare la sua particolare concezione filosofica di una realtà che ha iscritta in sé stessa la meta finale verso cui tende a evolversi.
Aristotele parlò di entelechia in contrapposizione alla teoria platonica delle idee, per indicare come ogni ente si sviluppi da una causa formale interna a esso, e non da ragioni ideali esterne come affermava invece Platone che le situava nel cielo iperuranio.
Entelechia è quindi il modo con cui un organismo tende a realizzare sé stesso secondo leggi proprie, passando dalla potenza all'atto.
E noto come, secondo Aristotele, il divenire si possa considerare pienamente spiegato quando se ne individuino le sue quattro cause: causa materiale, causa formale, causa efficiente e causa finale. Per designare il compimento del fine Aristotele usò appunto il termine entelechia che indica lo stato di perfezione, di qualcosa che ha raggiunto il suo fine.
In Leibnitz l'entelechia è riferita alla qualità propria della monade di avere il compimento del proprio fine in sé stessa senza l'apporto di alcun principio esterno.
In economia, il termine di Fatto entelechiano è stato introdotto dall'economista Giovanni Demaria per rendere evidente i fatti nuovi ed esterni che rompono gli equilibri di un modello econometrico come, ad esempio, gli effetti della terribilità di una guerra sulla serie dei prezzi rilevati lungo la sua durata. Per i fini che intendo perseguire con queste mie note, entelechia è il modo con cui una Civiltà tende a realizzare sé stessa secondo leggi proprie, orientando le sue potenzialità nel disporre i mezzi per esercitare il pieno dominio sulle risorse necessarie alla propria emancipazione.
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Il concetto di entelechia applicato alla storia, conduce a impostare una teoria in base alla quale il succedersi delle civiltà determinano lenti ma importanti cambiamenti che segnano il passo di continui miglioramenti della condizione umana che si consegue attraverso lo sfruttamento delle risorse naturali ed energetiche: queste ultime da considerare bivalenti nel senso che risultino sia dall’applicare la forza fisica oppure dall’esercizio di capacità intellettuali atte a surrogare la forza fisica.
Al riguardo osservo che è ragionevole considerare di elevato grado, una civiltà in cui l’esercizio fisico sia per la maggior parte applicata a scopo ludico o salutare, mentre la capacità di ricomporre, in forma associata, le risorse che si consumano sfruttando al meglio le tecnologie apre l’opportunità di dedicare maggior tempo alle attività di carattere intellettuale.
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La civiltà è lo sfondo insito in tutte le pagine di questo libro che si articola in cinque parti.
La civiltà affiora dalla storia e accarezza tutti i popoli. La civiltà è un concetto astratto che non sussiste senza una collocazione culturale rintracciabile nella memoria col concorso della ragione. Di queste parlo nelle prime due parti del libro, in questo volume.
La concretezza di un popolo affiora dall’insieme di persone che lo compongono e la civiltà ne esprime le sue peculiarità. Anche il popolo è un concetto astratto, se, attraverso un connotato comune, le persone che lo compongono non hanno un’identità.
Nella redazione di questo libro parto da me stesso come Persona, e, col metodo induttivo, scopro che in me c’è un Progetto. Come me, anche l’Altro ha un Progetto. Poi osservo che più Persone si associano per condividere un progetto comune. Infine, desumo che occorra condurre il progetto delle singole persone canalizzando gli interessi comuni in un profilo esistenziale: ecco dunque la seconda e la terza parte, nel secondo volume, costituite da Il Progetto personale e Il Progetto sociale.

Profili e Regimi nell’era contemporanea e la raffigurazione di un Regime della consapevolezza, terminano la mia fatica.



[1] Nel senso del come si deve fare per. Non si deve fare e basta. Si tratta di obbligazioni senza dogmi.
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* Direttore dell’International Institute Solvay di Bruxelles - Premio Nobel per la Chimica nel 1977)
**Da pag. 26 a pag. 36 di P. Bondanini (pibond)- Oltre il tempo - Uomo e Persona TiPubblic.
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