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26 settembre 2018

19.2 - Il Bene comune

Il modello sociale trova la sua completezza in un proposito  condiviso coinvolgente l’intera società considerata come persone e famiglie unite da vincoli di pari opportunità, e non più differenziata per appartenenza a tribù, corporazioni, classi e censo. 
La politica fiscale ancora operante tutela i mercati allargando, peraltro, il divario di status tra i cittadini anziché unirli per orientare le loro scelte di vita evolvendo in cultura, conoscenza e senso civico. 


In Italia, sino ieri, i governanti hanno trascurato di considerare il nesso tra occupazione, produzione e consumo negando il privilegio da conferire alle risorse umane rispetto a quelle materiali e di capitale; hanno ignorato di proteggere il mercato del lavoro dal dumping sociale; hanno omesso ogni azione per stabilizzare i prezzi dei beni e dei servizi di largo consumo e impiego gravandoli invece con accise e aumenti ingiustificati per migliorare la circolazione della moneta e il funzionamento dei mercati.
I mercati sono saturi di prodotti ibridi ottenuti dalla mescola di prodotti naturali di varia origine con altri ottenuti per sintesi chimica, sicché la produzione locale ne risente per il doppio effetto del venir meno della produzione e del consumo di merce locale, con l'abbandono dei territori marginali. Qui interessa mettere in luce l’offesa letale che si è recata all’economia delle piccole e medie imprese oggi prive di strumenti bancari e finanziari per risollevarsi. La crisi interessa tutti i popoli e, le classi dirigenti che continueranno a percorrere i loro progetti su questa linea, avranno la necessità di ottenere il consenso per via coatta autocratica o indotta per prassi. 


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E quale sarebbe il compito democratico della società che, per essere “Popolo” è lui stesso “Stato”? Lo Stato è il Popolo che deve crearsi le opportunità di esistere secondo i termini del “Bene comune”.


Il Bene comune è la dote che, in termini reali e potenziali, ogni componente della Comunità apporta per la 
soddisfazione dei bisogni primari di 
Casa, Cibo, Scuola, Salute e Tempo libero. 

Il bene comune si ottiene dalla confluenza di interessi particolari delle famiglie che, per mezzo della forza di volontà comune, convergono per creare un fascio di vettori che corrono paralleli. Si tratta di una diade[1] che sta in posizione intermedia tra l’indipendenza di ciascun soggetto libero nel determinarsi vincolato al gruppo e la conoscenza condivisa necessaria per realizzare e mantenere efficiente il bene comune.
Qui sotto, nella Tavola delle diadi, dei principi e delle istituzioni, il Bene comune occupa la posizione 2., tra 1. Indipendenza e 3. Conoscenza.
Più avanti, nell’estensione delle tessere dell’anzidetta Tavola vedremo che il bene comune assume le forme indicate nella lista sottostante.

ONU
Patrimonio dell’umanità
NAZIONE
Infrastrutture
STATO
Infrastrutture
COMUNITA’
Terreni, acque sorgive e fabbricati
FAMIGLIA
Abitazione
PERSONA
Abito e abitazione

Si può assumere come assioma che il bene comune è realizzato quando la curva dei redditi di Gini[2] è piatta. In queste condizioni ricchi e poveri non esistono nel senso che tutti i cittadini godono di un reddito dignitoso tale da assicurare nel lungo termine la sicurezza di essere coperti da un tetto, di assumere cibo a sufficienza per condurre una vita in salute, di avere occupazioni appaganti sul piano spirituale e materiale.
Il Bene comune esiste solo nel presupposto che non sussista nella forma di persona giuridica e società anonima.



[1] Il soggetto persona, concepito come omografia vettoriale, genera due vettori, anima e corpo, trasformando il generico vettore diade in vettore parallelo al corpo. La direzione del vettore è segnata dalla persona con le sue peculiarità distintive intese come unicità (uno) e anche come coppia uomo - donna (diade), distinti per il sesso ma come insieme nella direzione, perché la coppia, nella società, già segna l'indeterminatezza del vettore generato dall'uomo e dalla donna cui si aggiungeranno, per somma, i vettori segnati dalla prole.”
[2] Dal rapporto della banca d’Italia intitolato “La ricchezza delle famiglie italiane – anno 2011 la ricchezza netta … era pari a … poco più di 140 mila euro pro capite”.
Il rapporto dà i valori del coefficiente di Gini per i redditi (0,351), per la ricchezza netta (0,624), per le attività reali (0,628), per le attività finanziarie (0,779) e per le passività finanziarie (0,911). Tenendo conto che valori bassi di questo coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, mentre valori alti indicano una distribuzione più diseguale, in Italia i ricchi per reddito sono pochi, ma ancora meno sono i ricchi per patrimonio. E tra i ricchi per patrimonio ancora meno sono quelli che detengono molte attività finanziarie. Evidentemente i ricchi italiani hanno reddito, patrimonio e attività finanziari all’estero.
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La prima riga con le cinque tessere ha questo sviluppo:



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