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Risonanza, biforcazioni e fluttuazioni

  Sul dilemma tra necessità e possibilità, ritengo sia determinante l'intervento di Ilya Prigogine, laddove, nella processualità...

22 agosto 2016

Pianti e coccole*

I bambini adorano parlare a se stessi, anche quando non sono ancora capaci di comprendere il significato delle parole che dicono. (D.C.Dennet)

Alcuni nativi di Roma, trascurando qualche regola di grammatica e di sintassi, hanno la convinzione che "nessuno nasce imparato". Costoro sostengono inconsciamente le ragioni di Aristotele (tabula rasa[1]), mentre le idee di Platone risultano loro incomprensibili. Lo scorrere delle ombre nel fondo della caverna[2] non convince e questa immagine risulta troppo sfocata per capirla.E qui entrambi m’incatenano ancora al dilemma: ha ragione Aristotele o Platone?
Entrambi pensano che, appena tagliato il cordone ombelicale, il nascituro vagisca e si alimenti al seno materno senza un suo intervento volontario e i genitori vedono nella loro creatura una persona già autonoma che sa come conquistarsi l'affetto per sopravvivere: prima col pianto e, pochi mesi dopo, con un meraviglioso sorriso!
I genitori, come primi educatori, insegnano al neonato ad esprimersi col pianto sulla traccia di un semplicissimo schema fondato sul soddisfacimento dei bisogni più elementari.
Dopo i giorni del pianto, qualche volta esteso al limite della sopportazione per ottenere coccole e di quant'altro abbia bisogno, il neonato diventa bimbo e sorride consciamente (è meno faticoso sorridere che piangere) sino a quando, ormai cresciutello - il pianto cessa ed esprime con parole proprie, le sue esigenze.

Raggiunta l'autosufficienza in tempi relativamente brevi, i genitori potrebbero abbandonarlo a se stesso appena richieda di intraprendere un percorso di vita in base ad un suo progetto.
Tuttavia, perché ciò avvenga, occorre che il progetto sia attuabile e che il giovane sia accompagnato da tutori che interagiscano con lui, che lo sollecitino nello scoprire le attitudini e che lo preparino a contenere le passioni; insomma, che lo sostengano in un progetto di vita coerente con le sue capacità.
Per primi, sono i genitori che devono assolvere a questo compito educativo, trasmettendo istintivamente il loro modello esistenziale. I genitori vedono nei figli l'estensione  di loro stessi e il loro istinto s'identifica nell'intenzione di educarli come loro emancipandoli perché anche loro siano partecipi nella società civile.
In tempi remoti non c’era la televisione e il cinematografo. Platone, persona intelligentissima, già sapeva a cosa sarebbe servita. Dietro a sagome raffiguranti oggetti e persone, accese un enorme falò in modo da dirigere le ombre all’imbocco di una caverna. Sul fondo immaginò che ci fossero i prigionieri che, come i bambini, nulla vedono dal vivo nel mondo se non con gli occhi dei genitori. I prigionieri traggono concetti in rapporto ad una realtà che si svolge in confini che non oltrepassano la cella e il percorso per trascorrere l’ora d’aria; i bambini quella della via e del cortile di casa ma entrambi, come immaginava Platone condizionati da scritti, voci e immagini che oggi appaiono interattivamente sul tablet che, all’acquisto, è tabula rasa.
Oggi, come allora, occorrono circa vent'anni per giungere all'età adulta: vent’anni percorsi dall'interazione tra il giovane che ha in sé la capacità di assimilare osservazioni e trasformarle in linguaggio per interagire con le persone che gli stanno accanto. Il tutto perché, al termine,   elabori un pensiero e dia corso all'azione.
Il periodo è tanto lungo quanto è complesso il bagaglio formativo richiesto dal ruolo che vorrà svolgere nella società. D'altra parte è tanto breve quanto il complesso di attitudini individuali ed il livello di aspirazioni sono correlate alle capacità intellettive ed attitudinali.
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Per capire il meccanismo formativo cito qualche frase dal capitolo Dove nascono i pensieri che Daniel C. Dennet scrive nel suo libro "Dove nascono le idee", dal quale si desume quanto sia importante che il processo inizi sin dalla prima infanzia e duri sino a quando le etichette verbali diventino elaborate fino ad arrivare alla semplice rappresentazione mentale, capace di richiamare tutte le associazioni appropriate:
(...) Ora, è mia opinione - e non solo mia - che il pensiero nasca con il linguaggio. Le parole ci rendono intelligenti perché semplificano il nostro orientarci nel mondo, creando punti di riferimento. Muoversi nel mondo astratto delle idee sarebbe impossibile, se non avessimo quei punti di riferimento memorizzabili e condivisibili che sono le parole.
Nessun momento nella vita di un individuo è più significativo di quello in cui impara a parlare, avendo cura di sottolineare l'inadeguatezza del verbo "imparare", giacché è provato che l'essere umano è geneticamente predisposto al linguaggio. Secondo un'esagerazione cara al linguista Noam Chomsky, i bambini non hanno bisogno di imparare la propria lingua, perché hanno delle disposizioni di apprendimento innato che si adattano al contesto in cui vivono, esattamente come gli uccelli non si devono preoccupare delle loro penne per volare.
Ogni bambino impara in media dodici parole al giorno, per anni, almeno fino all'adolescenza. La fase iniziale di questo apprendimento è segnata dalle vocalizzazioni informi che il bambino emette nei primi due anni di vita e che costituiscono una sorta di cronaca privata del mondo.
I bambini adorano parlare a se stessi, anche quando non sono ancora capaci di comprendere il significato delle parole che dicono. Inizialmente sono i suoni a essere rievocativi, non le parole. L'abitudine a ripetere parole, pur non conoscendone il significato, crea legami di riconoscimento e di associazione tra le facoltà uditive e le correlate proprietà sensoriali. In altre parole, il bambino sta disponendo delle etichette verbali sul mondo circostante (...)
Dopo questa non breve citazione del Prof. Dennet, filosofo, esperto in intelligenza artificiale, Direttore del Centro per gli studi Cognitivi della Tufts University e che ha insegnato nelle principali università del mondo, osservo che è vero che un adolescente sia in grado di sopravvivere con i suoi propri mezzi nella società; è altrettanto vero che il distacco dalla famiglia debba avvenire non prima che il processo formativo sia compiuto in modo che sia capace di mantenere il percorso lungo il proprio progetto. Questo tempo deve essere tanto più lungo quanto sono numerose e complesse queste "etichette verbali", semplici nel loro significato ma complesse nel loro insieme, per elaborare quei pensieri che gli saranno indispensabili nella vita adulta che non sarà quella di campare, ma quella di esistere.
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Questo, del distacco, è il punto chiave di tutto il discorso: sono partito dalla "tabula rasa": i genitori provvedono ad imbandirla di tutto ciò che occorre e ... meno tre, meno due, meno uno .... boom: ecco spuntare dalla matrioska l'adulto efficiente, sapiente, ricco sia fuori sia dentro![3]  Ma questo è l’argomento che sarà oggetto di esame nell’ultima parte del libro, nella quale parlerò della formazione responsabile alla socialità.



[1] Nell'antica Roma una tabula rasa era una tavoletta di cera cancellata in modo da poter essere usata per riscrivervi sopra. Metaforizzato è il concetto applicato all'intelletto. Esso allude alla mancanza di conoscenze a priori e, quindi, alla totale potenzialità di acquisizione da parte di esso di qualsiasi conoscenza. Con quest'espressione, già a partire da Aristotele, si è espressa l'idea che l'essere umano nasce senza nulla di innato dal punto di vista mentale, tesi contrapposta a quella che attribuisce più importanza alla componente biologica nella formazione dell'intelletto e della personalità. Negli ultimi anni, alcuni studiosi come ad esempio Steven Pinker, basandosi su studi su gemelli, casi di adozioni o altri casi particolari, hanno sostenuto che il patrimonio genetico determina almeno in parte (innatismo) le caratteristiche ed il comportamento dell'individuo. (Wikipedia)

[2] Il mito è incorporato nel testo del capitolo.
[3] Al riguardo penso che debba essere rivisto il disposto dell’art. 2 del Codice civile che stabilisce il compimento della maggiore età al diciottesimo anno. L’emancipazione dovrebbe essere concessa in base a certe condizioni senza le quali la capacità giuridica dovrebbe essere strettamente legata agli obblighi scolastici e di formazione professionale. Attualmente la famiglia è eccessivamente deresponsabilizzata e priva di autorità nei riguardi dei minori.
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Capitolo 20 di Oltre il tempo Vo. II - Persona e Società*
* I capitoli sono mostrati su questo blog, aggiornati per essere pubblicati successivamente su  
I testi definitivi possono essere ritirati, prima della loro pubblicazione.


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