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08 ottobre 2009

Libertà e giustizia in Italia

Un gruppo di persone, a loro dire, partorite in Italia senza il loro consenso dopo vani tentativi di inserirsi in un qualsivoglia attività lavorativa in campo sociale o culturale, hanno deciso di andarsene all'estero per non farsi calpestare sino raggiungere l’età pensionabile. Costoro coltivano un blog dallo strano nome Jus Primæ Noctis.
Uno di loro (chì non so), sul mio post del 19 luglio 2009 dal titolo, “Destino il male e la liberta”, interviene con questo laconico commento:

Se il discorso si conclude con la giustizia allora possiamo prendere a modello l'Italia :)

Il succo del discorso sta tutto "sull’emoticon :)" che mi spinge a replicare con altrettanta amichevole simpatia a questo gruppo di fuoriusciti spontaneamente dall’Italia, ivi nati senza averlo chiesto.

Il modello Italia
Costoro sostengono che se il (D)estino, il (M)ale e la (L)ibertà si conclude con la (G)iustizia, possiamo prendere a modello l’(I)talia.
Sotto il profilo logico il discorso sembrerebbe perfetto, considerando le tre categorie D, M e L che si fondono in G.
Ma, se G ha per modello I, considerare I uguale a G e continuare il ragionamento da I anziché da G, è sbagliato. Sarebbe come pretendere di fare un viaggio comodo da Milano a Roma e viceversa con una FIAT 500 A (anno 1936), poi soprannominata "Topolino", debitamente restaurata.
No cari ragazzi J, si deve partire da G e vedere cosa succede in I e poi verificare cosa c’è che non va in I. Partire da I significherebbe indurre a modificare G in modo anomalo, come appunto succede nel nostro sgangherato sistema giudiziario deve la rettitudine sembra essersi volatilizzata.

La deviazione dalla rettitudine
Nel mio post, cui il commento si riferisce, accenno ai concetti etici di Agostino con riferimento alla rettitudine e alle sue deviazioni. Sostengo infatti che l’espressione della volontà si estrinseca in potenza che, applicata all’intenzione, si trasforma in azione.
Ogni azione ha inizio con l’intendimento di favorire o di ostacolare un processo in divenire; ciò vuol dire che la volontà umana – sollecitata dagli stimoli e dalle passioni – produce energia e promana nella natura diffondendosi come forze interagenti e modificatrici.
Il potenziale che scaturisce da ogni persona si estrinseca in “Io posso”, associato ad un verbo come amare, costruire, distruggere, odiare vezzeggiare, dileggiare, rubare, ammazzare, stuprare eccetera.
L’unione di “posso” ad un altro verbo come amare, ammazzare ecc. non produce danno né coinvolge nessun rapporto giudiziario (diritto/dovere) per ottenere una lode o un biasimo, ma esprime un quadro di potenzialità delle persone che potranno essere valutate ed eventualmente giudicate solo a “cose fatte”.
Lo schema si articola secondo tre modalità comportamentali:
1. Io posso …;
2. Io non posso …;
3. Io posso non. …;
Ed è questo lo schema di Agostino nel proporre il libero arbitrio come deviazione della volontà cioè quella facoltà in base alla quale si vuole ciò che si potrebbe rifiutare e si rifiuta ciò che si potrebbe volere. La deviazione si supera ogni volta che si riesca a trasformare “Io non posso ...” in “Io posso non ...”: ad esempio “Io NON posso rubare” in “Io posso NON rubare”.
Alla persona onesta è facile “poter non rubare”, al ladro è difficile “non rubare” e – pertanto - occorre prescrivergli di “non poter rubare” e condannarlo in caso di trasgressione!
La formulazione del giudizio, con l’intento di stabilire un atto di giustizia riparatrice di un danno, va concepito non sui fatti, ma in base ai fatti e sulle potenzialità espresse dal soggetto col proprio intervento volontario sui fatti. Non Dio, né la natura, possono essere giudicati, ma solo l’uomo per le “azioni compiute”.
Azioni compiute, non intenzioni, quindi!

Libertà e giustizia in Italia
Concludo con l’affermare che il “modello” di giustizia deve essere conforme ad un enunciato in base al quale la libertà appartenga ad una categoria superiore al principio di “giustizia”.
Prima c’è la libertà che si esercita con gli atti e poi c’è la giustizia che interviene quando questa venga violata nei fatti commessi.
All’opposto, considerare la libertà come un diritto vuol dire assoggettarla a vincoli condizionando l’agire dei singoli al solo manifestarsi dell’intenzione sicché ogni singola iniziativa sia scoraggiata sin dal suo nascere. Così crollerebbero le fondamenta della libertà riducendone la percezione ad essere una illusione socialmente manipolabile dalla classe eletta.
Il modello Italia, quale si evince dalla Costituzione promulgata da Capo provvisorio dello Stato italiano il 27 dicembre 1947 ed in vigore dal 1° gennaio 1948, con tutte le modificazioni da allora intervenute, non corrisponde agli anzidetti principi di libertà e di giustizia.
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Aggiunta del 26 ottobre 2009
Il presente post nasce da più commenti che ho pubblicato sul blog "Jus primae noctis" in merito al soggetto: Corsica, estate 2009: le mosche e gli italiani.

4 commenti:

  1. Riassumendo: dalle conclusioni finali deduco che siamo d'accordo :)

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  2. Ecco, ora vorrei sapere in quale misura siamo d'accordo. Ovvero, nel riformare la costituzione occorre concordare sui principi di libertà e giustizia, oppure rabberciare le cose in modo che le cose stesse soddisfino i principi che ognuno ha della libertà e della giustizia?
    La laconicità della vostra risposta mi lascia molto sospettoso!!

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  3. Per me all'autore di http://pibond.blogspot.com manca qualche rotella...

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  4. In effetti è vero. Mi mancano rotelle per completare il post sulla libertà e la giustizia ed in particolare quelle che dovrebbero rilevare coloro che mi leggono.
    Ad esempio, rilevare la differenza di potenziale che scaturisce tra il NON POTER fare qualcosa ed il POTER NON fare qualcosa. Questo dilemma è la chiave di volta della morale che scopro davanti alla vetrina di una pasticceria dove spiccano babà, belli, gonfi, tumidi e dal profumo percebibile anche attraverso la vista.
    Cosa faccio? I freni inibitori funzionano, oppure mi scateno a ciucciarmene una ventina?

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