Concordia: parola in disuso!
Ecco una grossa complicazione che corrisponde al rovescio di quanto capitò agli uomini che lasciarono incompiuta la torre di Babele.
Scambio di doni tra Roma e Italia |
“Qui ormai siamo in un paese impazzito, che non pensa più
al domani”!
Dopo una mia prima reazione di stizza seguita da una
stretta allo stomaco mi venne spontaneo lo stimolo di urlare: “Senti chi parla”!
Dovetti ricredermi perché non disse che io, cittadino italiano,
ero impazzito; né potevo avere argomenti per sostenere che Romano Prodi fosse
pazzo.
Infatti, Prodi non si riferiva a persone o gruppi di una
qualsiasi parte, ma all’intero paese abitato da persone disorientate che mostravano
di non saper più comunicare né immaginare qualche certezza per il futuro.
Il pensiero mi conduceva ad immaginare qualche pratico
sussidio politico per stimolare la gente verso una maggiore coesione sociale.
Invece, mi appiattivo nell’ immaginare soluzioni anche ovvie ma irrealizzabili
sul piano pratico ed il mio pensiero vagava nell’incubo di una catastrofe
imminente.
La Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea, l’Integrazione
dei Popoli nelle Nazioni del continente e l’ Aspetto linguistico a base del sistema di comunicazione,
costituivano le mie maggiori preoccupazioni perché, come cittadino, percepivo
una libertà che, seppure proclamata, sembrava compromessa dal difetto di etica
comune condivisa.
Considerazioni linguistiche
Quante lingue si parlano nelle venticinque nazioni europee
alle quali l’UE intende aggiungere anche la Turchia che occupa, per il
novantasette per cento della sua estensione, il continente asiatico?
Ecco una grossa complicazione che corrisponde al rovescio di
quanto capitò agli uomini che lasciarono incompiuta la torre di Babele.
Con la creazione delle unioni, delle federazioni, degli organismi
plurilaterali sotto l’egida dell’Unione Europea apparteniamo, noi, alla
progenie destinata a completare un’impresa rimasta incompiuta da millenni?
Parleremo quindi un'unica lingua come sudditi del Leviatano[1],
oppure ogni cittadino potrà continuare a parlare la propria e l’interlocutore
parlante un’altra lingua sarà in grado di capire come se ascoltasse la propria?
Tra le lingue degli europei, nel mondo, ci sono l’Inglese e lo
Spagnolo parlato da 320 milioni di persone ciascuna. In 178 milioni parlano il
Portoghese e in 144 milioni parlano il Russo. Tutte le altre lingue, tra le
quali, il tedesco (90 milioni), il Francese (68 milioni) e l’italiano (64
milioni) sono parlate da meno di 100 milioni di Persone. Tra gli extraeuropei
menziono la Cina, con 1,2 miliardi di parlanti, il Sud est asiatico con 360
milioni di parlanti l’Hindi ed il Bengalese; i Paesi arabi con 221 milioni. 178
milioni sono i parlanti il Portoghese, e 122 milioni il giapponese. 52 lingue
sono parlate da meno di 20 milioni di persone ciascuna e 23 lingue da meno di
10 milioni di persone, tra le quali il Lombardo (9 milioni) ed il Napoletano -
calabrese (7 milioni.)[2].
°°°
Conviene inquadrare il problema linguistico nel sistema
più generale della comunicazione fra le persone, partendo dal considerare tre
ipotesi risolutive pertinenti – ciascuna - a specifiche fattispecie che
indicherò nel contesto di questo stesso paragrafo.
1.
Il Leviatano immaginato da Hobbes, imporrebbe una
lingua unica artificiale come l’Esperanto non derivante da idiomi parlati. Una
nuova lingua nasce tra le persone che la condividono e si diffonde nella forma usata
dal leader. Mi viene in mente la comunità che si raccoglie attorno ai GP
automobilistici, dove l’effetto Ferrari fa sì che l’italiano parlato dai
modenesi con accentuazioni maranellesche
prevalga sugli altri linguaggi. Probabilmente, non così succederà per la gente di
Fiat, dove l’accentuazione piemontese potrà cedere il passo a quella parlata a Detroit,
negli Stati Uniti. Ciò vuol dire che in tema di comunicazione, ognuno tende ad usare la lingua del proprio
capo e, questa proposizione, può considerarsi una tra le tante leggi
naturali.
2.
Altri preferirebbero ripristinare le lingue
naturali inculcate nelle religioni e tuttora praticate, sicché ritornerebbe
l’uso del Latino come lingua colta per la matrice culturale occidentale da
contrapporre all’Arabo, al Mandarino standard e all’Hindi derivante dal
Sanscrito, rispettivamente nei paesi arabi, in Cina ed in India. Il destino
rimarrebbe segnato per tutte le altre lingue ancorché parlate ma prive di basi
letteraria e culturale di qualche consistenza. La lingua greca la cui cultura
fu sopraffatta dall’Islam ed assorbita in quella umanistica occidentale, non
avrebbe più rilevanza.
3.
La terza ipotesi lascia spazio alla libera scelta di una seconda lingua,
oltre la madrelingua, tra quelle di maggior diffusione, intendendo per essa
quella più consona alle occupazioni esplicate da ciascuno.
°°°
Considerate le ipotesi 2 e 3, e scartata la prima perché dovrebbe
essere imposta da un inaccettabile leader
universale, occorre prendere atto che qualsiasi soluzione non può adombrare
il forte legame esistente tra la storia e la cultura dei popoli. Non può esservi
una buona cultura se non è espressa in una lingua pertinente ad essa. Né è concepibile
una cultura - e per essa s’intende religione, filosofia ed arte - enucleata
dalla storia. Basti pensare all’immondizia intellettuale prodotta dal
materialismo e dal pensiero nichilista, capire che, dal degrado culturale, non
esce niente di bello e di buono se il comportamento delle persone non è mondato
dall’immoralità, dalla cacofonia e dalla volgare sciatteria delle
rappresentazioni visive. Non parlo di contenuti, ma della forma che dovrebbe riscattare
l’orrido insito nel male ed il brutto che sono realtà influenti che sconvolgono
lo spirito. Le culture sono il vero motore per l’apprezzamento etico ed artistico; senza
di esse la vita decade nel vacuo compiacimento passionale.
In tal modo originano due specie di mali e di bruttezze:
quelle oggettive, reali e tangibili che causano dolore, e quelle soggettive prodotte
dal riflesso di ciò che è male e brutto sui sentimenti della persona singola e
della comunità cui essa appartiene.
Dante, per la Divina commedia, ma potrebbe essere anche quello
di Goethe per il Faust, di Milton per il Paradiso Perduto o di Tolstoj per
Guerra e Pace, di Cervantes, per il Don Chisciotte, di Rabelais per Gargantua e Pantagruel, senza dimenticarne
altri più moderni come Pessoa, portoghese o Ibsen norvegese, o Kafka ceco,
scrittore in lingua tedesca, o Joyce irlandese, o Saint Exupéry francese,
o Borges
argentino, non rappresentano un problema linguistico per le opere loro, perché,
nessuno sarebbe capace di esprimere meglio ciò che hanno scritto. Il problema
sta per chi non conosce la lingua usata nello scrivere e cioè per tutti noi europei,
che per conoscere questi autori dobbiamo ricorrere, oltre al traduttore, anche
all’interprete, per non aver dimestichezza in almeno in una ventina di lingue.
Arabi, indiani, cinesi e giapponesi non hanno problemi di tal fatta come noi che
abbiamo assommato una cultura immensa, partendo da un ceppo comune greco –
romano - giudaico – cristiano: tutte culture che, grazie al cristianesimo,
hanno toccato tutti i popoli delle attuali nazioni europee.
Per noi occidentali, terminata la fase umanistica, dalla riforma
protestante che interruppe il progetto europeo di Carlo Magno, ogni cultura
seguì il percorso dei popoli che si andavano formando nelle nazioni del vecchio
e dei nuovi continenti, per giungere ai nostri tempi in cui sembra urgente
ricomporre il tutto nel dare avvio ad una grande Unione politica che, per l’Europa,
concentrerebbe più di quaranta nazioni, di cui già 27 già unite dal Trattato sull’Unione europea e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea entrambi firmati a Lisbona il 13 dicembre 2007. Con essi è stata
istituita la Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea (nel testo approvato dal Consiglio europeo a Nizza l’11 dicembre
2000), che, però, non entra in vigore perché il processo di ratifica non è ancora
concluso (Debbono ancora ratificare: Repubblica Ceca, Danimarca, Irlanda,
Polonia, Portogallo, Svezia e Regno Unito. Attraverso referendum, il testo
costituzionale non è stato ratificato da Francia e Paesi Bassi).
Considerazioni culturali
A questo punto c’è da chiedersi se, quello linguistico è
una realtà da gestire o se costituisca un problema a sé.
Il dilemma si pone nel prendere atto che, sotto l’aspetto
politico, la questione linguistica ha trovato una soluzione del tutto autonoma
mirante a regolare i rapporti tra i cittadini e l’Unione. Il trattato
istitutivo dell'Unione europea stabilisce, infatti, che ogni cittadino possa
scrivere alle istituzioni in una delle lingue ufficiali ed averne una risposta
nella medesima lingua e che tutti i documenti ufficiali siano redatti in tutte
le lingue ufficiali dell'Unione, al fine di garantirne la comprensibilità. Le
lingue ufficiali vengono definite dagli Stati membri e non dalle autorità di
Bruxelles [3].
Trattasi di soluzione assai pragmatica che privilegia la
semplicità dei rapporti tra cittadino e le istituzioni, ma prescinde da ogni
considerazione di efficienza e correttezza nel sistema di comunicazione fra i
cittadini. Oggi le tecnologie informatiche consentono di far miracoli, ma il
rapporto resta comunque condizionato dall’esistenza di documenti di uguale
contenuto ma scritti in lingue diverse dove le parole tradotte possono assumere
significati ambigui. Basti pensare agli sforzi per tradurre testi scritti da
autori come Saint Exupéry e Joyce. Per quei testi, spesso, il traduttore vale
più per le sue qualità d’interprete che per le sue conoscenze in materia
linguistica. Ora non si tratta di valutare ciò che scrive l’autore, ma di dare
ai popoli dell’Europa l’uso di una lingua unica da condividere per i rapporti
tra persone unite da comuni radici culturali.
La soluzione adottata dall’Unione è buona solo per
regolamentare la produzione dei latticini, oppure per riconoscere un marchio o
dettare norme per il settore dei trasporti, ma in campo religioso, culturale,
etico e giuridico, i soloni della costituente europea hanno messo i remi in
barca in modo pilatesco lasciando a tutti il modo di arrangiarsi, dire e
scrivere ciò che vuole considerando tutte le persone uguali davanti alla legge,
nel rispetto della diversità culturale religiosa e linguistica.
Orbene, il cittadino europeo, oltre ad affogare nella
marea linguistica, anziché prestare maggior cura nel mantenere il proprio
linguaggio vivo e protetto dagli imbarbarimenti, da una parte, ha solo
l’opportunità di esprimersi per aver risposte nella stessa lingua delle
richieste, dall’altra riceve solo responsi rispettosi di qualsiasi convinzione
culturale, religiosa e linguistica. In poche parole, l’Unione europea non ha
religione, non ha cultura, non ha lingua: non discrimina le culture, né le
religioni, né le lingue perché, come scriverò più avanti, agli stati membri ed
ai singoli cittadini è fatto divieto di discriminare chiunque e checchessia.
L’Europa è un sacco vuoto pur rispettando tutti. Ma per
essere liberi occorre vi sia qualcosa da scegliere, per scegliere occorre avere
un’idea, non un’opinione! In questo modo si porta rispetto al parere, ma ci si
beffa della persona che non trova conforto di un riconoscimento qualificante del
proprio pensiero.
Infatti, se l’istituzione non ha idee, con chi ci si
misura quando, a priori, ogni confronto è vano perché i valori sono stravolti e
squalificati? La nostra Europa è un’istituzione agnostica incapace di
discernere il buono dal cattivo, il bello dal brutto il lecito dall’illecito.
Un’Europa che lascia tutti nell’incertezza del diritto ed in balia della
limbica vaghezza del buonismo di facciata detestato da tutti, tranne – per
l’assenza di stimoli morali - da chi è determinato a suscitare il male.
Vedo in quest’Europa, l’antitesi della libertà culturale e
religiosa ed è incomprensibile come si possa aver avuto idea di ritenere la
cultura e la religione del tutto indipendente dalla sua lingua. Forse
esisterebbe una cultura dissociata dalla lingua che la esprime?
E’ così, anziché vedere i rapporti giuridici avviarsi su
accordi raccolti in testi unici, di legge o regolamento, scritti in una sola
lingua, nascono tanti testi ufficiali che ognuno scrive usando l’idioma che
preferisce. Di conseguenza, i dizionari si imbarbariscano con termini del tutto
inutili con la certezza che, col passare del tempo, a nessuno sarà più concesso
di poter scrivere con un certo rigore logico. L’aggiornamento linguistico
dovrebbe riguardare solo gli effetti dell’uso di nuovi lemmi per lo sviluppo
scientifico e tecnologico, mentre in materia religiosa, etica e culturale non
possono, a mio avviso, essere imposte più lemmi per lo stesso significato.
Su quanto trascende scienza e tecnologia, non c’é ragione
di riforme linguistiche ed è per questo che il buon senso dovrebbe suggerire a
tutti di ripristinare il latino nella formulazione dei testi giuridici
istituzionali fondamentali ad iniziare dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione, che a me non risulta
sia stata tradotta in latino. Doveva esserlo, se non altro per soddisfare i
milioni di cattolici europei!
Con buona pace per gli autotrasportatori di scartoffie tra
Bruxelles e Strasburgo in occasione di ogni riunione del Parlamento europeo, si
trasferiscono tonnellate di carta perché i deputati parlanti ognuno una delle
23 lingue, possano disporre del testo di ogni atto nel proprio idioma. E non
sarebbe male che a questi deputati venga richiesta la conoscenza del latino nel
proporsi come candidati!
°°°
A corollario di quanto propongo, aggiungo che ogni stato
dell’Unione, nell’applicare disposizioni legislative così emanate, dipende da
ciò che scrive un traduttore. Non voglio entrare nel merito delle
semplificazioni al riguardo attuate nella pratica, ma suppongo che ogni
documento originario venga redatto nella lingua del proponente e da questo
tradotto nelle altre lingue ovvero nelle poche individuate tra le più
importanti: inglese, tedesco e francese. Gli altri si arrangiano, ma tutti sono
nelle mani dei traduttori. Ora, a mio modesto avviso, l’uso di una lingua unica
sarebbe, per tutti più vantaggioso: non perché i testi non verrebbero più
tradotti, ma perché il legislatore parlante una qualsiasi lingua collaborerebbe
alla redazione di un unico testo valido per tutti e non di un testo ricostruito
a suo piacimento, uso e consumo.
Considerazioni antropologiche
La dichiarazione di Prodi dell’undici novembre 2006, mi
lasciò perplesso anche per altri motivi che ora mi portano a trascrivere l’episodio
biblico relativo alla torre di Babele[4], per
soffermarmi poi sulla dispersione delle genti nel mondo:
Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.
A mio avviso, non doveva essere la babele linguistica, la
causa del malessere di Prodi ma, credo, che da una meditazione più approfondita,
si possa individuare l’argomento principe cui aggrappare l’ancora della nostra
memoria con l’intento di palesare il disagio che apporta la globalizzazione che
politicamente sembra opporsi alla formazione delle nazioni, mentre, sotto il
profilo antropologico, si sta realizzando una generale (ri) compattazione interetnica.
Come detto più sopra, all’opposto, non si tratta di abbandonare
la costruzione della torre di Babele. Ne consegue che, incontrandoci, non
conosciamo più noi stessi, ci pieghiamo passivamente agli eventi con un basso
profilo progettuale di vita e non riusciamo più a condividere idee perché sono decadute
al rango di opinioni e non sono più chiare e forti come le credevamo.
Da un giorno all’altro, una cosa buona diventa cattiva e
una cosa cattiva diventa buona perché ogni suo aspetto è ritenuto ora malefico,
ora benefico per qualche recondita finalità. Insomma tutti hanno ragione e
torto insieme. E’ la manifestazione di un colossale insieme di torri di Babele
che nasce dal relativismo e dal nichilismo: le macerie dell’illuminismo, del
romanticismo, dell’idealismo e del materialismo.
Dio disperse l’uomo per tutta la terra; l’uomo ha
trasmigrato nei diversi millenni sino a oggi, dall’età dell’episodio biblico.
Ora l’uomo si ricongiunge globalmente e ricerca un linguaggio comune, ma non
basta perché il male non è quello linguistico ma quello che non riusciamo più a
comunicare. Non si tratta di sapere come regolarci per mangiare un panino da mcdonald’s
ma Saper dire Chi sono all’Altro e, in pari
tempo, far capire Chi sei all’Altro.
Non conoscendoci, ignoriamo per chi e per cosa stiamo al
mondo, corriamo il pericolo di rimanere per sempre estranei anche a noi stessi
perché abbiamo esaurito i valori della vita e perché noi tutti, come
correttamente ha dichiarato Romano Prodi, viviamo
in un paese impazzito, che non pensa più al domani[5].
Concordia: parola in disuso!
[1]
Significa “contorto"contorto; avvolto",lingua ebraica Livyatan, ebraico
tiberiense Liwyāṯān)
è il nome di una creatura biblica. Si tratta di un terribile mostro
marino dalla leggendaria forza presentato nell'Antico Testamento. Tale
essere viene considerato come nato dal volere di Dio (testo da Wikipedia)
[2] Dati
provenienti dalla pubblicazione "Lingue del Mondo" di Ethnologue 16^
Edizione 2009. E’ interessante notare che lo stesso numero di Lombardi e di
Napoletano - calabresi parlano una seconda lingua; evidentemente non tutti
l’italiano.
[3] Attualmente
le lingue ufficiali dell'Unione Europea sono 23 in rappresentanza di 27 Stati
membri. Accanto alla lingua è indicato lo stato richiedente: Bulgaro: Bulgaria;
Ceco: Repubblica Ceca; Danese: Danimarca; Estone: Estonia; Finlandese:
Finlandia Francese: Francia, Belgio, Lussemburgo; Greco: Grecia, Cipro;
Inglese: Regno Unito, Irlanda, Malta; Gaelico: Irlanda; Italiano: Italia;
Lettone: Lettonia; Lituano: Lituania; Maltese: Malta; Neerlandese: Paesi Bassi,
Fiandre (Belgio); Polacco: Polonia; Portoghese: Portogallo; Rumeno: Romania;
Slovacco: Slovacchia Sloveno: Slovenia; Spagnolo: Spagna; Svedese: Svezia;
Tedesco: Germania, Austria, Lussemburgo, Provincia autonoma di Bolzano
(Italia), Belgio; Ungherese: Ungheria. Oltre alle lingue ufficiali esistono tre
categorie di lingue regionali o minoritarie: lingue specifiche di una regione
che può trovarsi in uno o più Stati membri, come basco; bretone; catalano;
occitano; frisone; ligure; sardo; gallese; galiziano; friulano; napoletano
-------------------------
[4][4] Esodo 11;
1-9
[5] Questo
capitolo, rispecchia il contenuto di un mio post preceduto da altri tre intitolati
in modo assai stravagante ma proprio alle anomalie insite nel funzionamento di
certi organismi istituzionali, rispettivamente allo Specialismo,all’Antispecialismo
e al Generalismo. Il terzo post, sul Generalismo conclude proponendo un gioco
che potrebbe avere interessanti sviluppi. L’ho chiamato Il gioco di
Pibond©, e nella forma di bozza è riportato in appendice n.
5.
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