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Risonanza, biforcazioni e fluttuazioni

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29 giugno 2006

Frustrati e furenti, uniti nel futuro di libertà (bozza)

Nella pagina Ma quanti sono i poteri! di www.pibond.it, affermo un principio fondamentale che caratterizza l'economia di oggi, in particolare nel nostro mondo occidentale e che ritengo opportuno richiamare anche qui:
i beni materiali disponibili e la trasformazione di essi con l'utilizzo di fonti energetiche rese potenzialmente inesauribili dallo sviluppo tecnologico, affrancano gli uomini dalla schiavitù e consentono a tutti di essere liberi e di condurre un'esistenza dignitosa.
Non sembra vero, ma è ragionevole pensare che la società umana possa oggi raggiungere un nuovo equilibrio nei rapporti sociali coinvolgendo tutti nella conduzione di una esistenza serena e non più vincolata ai bisogni impellenti creati dalla carenza di beni primari che sono quelli indispensabili per la sopravvivenza.
In più parti del mio sito rilevo che, oggi, l'economia è caratterizzata da un mercato dove la domanda non genera più l'offerta, ma è l'offerta che genera domanda per consumi crescenti in quantità e qualità a prezzi che si adeguano ai target di consumatori distribuiti per classe di reddito, di sesso, di età, di cultura ecc.
Se è vera questa osservazione, le crisi di sovrapproduzione, che sino alla metà del secolo scorso hanno afflitto l'economia, non dovrebbero più accadere perchè la disponibilità dei beni sul mercato è regolata dalla domanda indotta dalla stessa offerta e, allo stesso tempo, sempre in base al principio anzidetto, la disponibilità dei beni sul mercato dovrebbe essere sufficiente a garantire a tutti i viventi, ovunque abitino, un benessere adeguato per godere di un orizzonte economico allargato ad oltre i beni primari.
Eppure sembra che succeda il contrario.
In realtà osserviamo che la schiavitù esiste ancora, che un terzo della popolazione mondiale non dispone di mezzi sufficienti per vivere in modo accettabile e che gli sforzi posti in essere per ridurre il divario tra richi e poveri non sembrano avere successo. Perchè? Mancanza di mezzi? Razzismo? Classismo? Ignoranza? Sfiducia nella capacità di assimilare il modo di vivere di noi occidentali?
Questo ed altro potremmo chiederci, ma, a mio parere, la risposta è una sola: tra noi, c'è un pessimismo diffuso che ostacola la generazione di un modello accettabile per sé stessa e per gli altri.
A mio parere, le cause possono riassumersi in queste tre proposizioni:
  1. il disorientamento generato dalla mancanza di riferimenti condivisi;
  2. la frammentazione del potere generata dallo sconvolgimento della gerarchia dei valori;
  3. la separazione della responsabilità dei singoli dalla funzione politica, economica e sociale esplicata.
Penso che questi siano i tre punti fondamentali dai quali partire per diffondere un modello di vita accettabile e che dovrebbe avere origine dai singoli o non più da strutture statuali ormai ridotte ad essere relitti che generano distorsioni insopportabili quali:
  • la deresponsabilizzazione dei singoli,
  • la cooptazione clientelare,
  • i meccanismi di delega passiva,
  • l'estensione delle gerarchie,
  • il corporativismo,
  • consociativismo sindacale e politico
  • ecc.,

sino a realizzare la sovietizzazione del sistema politico, economico e amministrativo.
In Italia la questione è particolarmente aggravata dal fatto che la nostra carta costituzionale non ha ancora subito quelle modifiche necessarie a rivalutare il cittadino come persona e non considerarlo come unità sociale che genera lavoro (vedi il mio post del 21 maggio 2006) e nemmeno adottato quelle per le quali siamo stati chiamati al Referendum del 25-26 giugno 2006 perché, se si fosse concluso con la vittoria del sì, il principio di sussidiarietà avrebbe avuto una definizione più vicina alla terza proposizione.
Infatti il nuovo testo dell’articolo 118 sarebbe stato il seguente: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni riconoscono e favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Essi riconoscono e favoriscono altresì l’autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale per la medesima attività e sulla base del medesimo principio».
Al riguardo Giorgio Vittadini nel posto apparso sul pungolo ilpungolo spiega:

La nuova formulazione richiede una spiegazione. Si osserva che rispetto all’attuale art.118 si utilizza il verbo “riconoscere” anziché “valorizzare”: si tratta di un’affermazione più decisa della sussidiarietà rispetto a quella della precedente legislatura che ha votato l’attuale art. 118 della Costituzione. In altre parole, il favor verso l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro associazioni non si configura come una mera concessione da parte del potere pubblico, ma come il riconoscimento di un’autonomia che preesiste al potere pubblico.

Pietro

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