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18 dicembre 2013

All'alba della libertà

Basta produrre diritti peculiari a danno della comunità, e privilegi che abbattono la concorrenza nello scambio dei beni sul mercato.


E’ orribile vivere in uno stato che confonde l’etica col diritto.
Il solo fatto di enunciare un diritto alla vita è assassinare la libertà, una libertà che poggia su tre pilastri:
  • libertà di vivere,
  • libertà di intraprendere,
  • libertà di creare.
L'etica si fonda sulla libertà e non sul diritto che la spegne quando l'ordinamento dello Stato prevede che il cittadino debba conformarsi alla legge e non il contrario, quando sarebbe corretto prevedere che la legge debba accordarsi alle esigenze del cittadino.
Normale è pensare che le persone siano oneste e educate. 

Dal momento che il cittadino risponda a questi principi, non c'è ragione di vessarlo nell'imporgli condotte che già pratica per sua spontanea volontà. Oggi, identifico questo cittadino nei milioni di elettori che, nelle ultime elezioni politiche, hanno deliberatamente trascurato di mettere la loro scheda nell'urna o che vi hanno provveduto aumentando il numero dei parlamentari tra i grillini. Oggi si aggiungono anche i simpatizzanti dei Forconi e di Casa Pound, movimenti sinora estranei alla politica ma, con lo sventolio della Bandiera italiana quale simbolo della loro protesta, sembra che vogliano proseguire i moti risorgimentali nel percepire la loro patria ancora succube dell'impero germanico.
Costoro sono persone che gestiscono imprese che, col loro stesso duro impegno,  sono la struttura economica del nostro paese grazie alla quale il bisogno alimentare è assicurato giorno per giorno. Ora sono ridotte alla disperazione e, da loro, sembra udire urlate queste espressioni.
Sono libero di vivere, ma rifiuto il diritto di vivere e non ammetto che lo Stato possa condizionare la mia esistenza al sesso, all’età, alla salute o, rievocando gli atroci genocidi eugenetici praticati da Hitler, alla razza. Vivere significa mantenere il progetto di famiglia così come era quella di papà e mamma che prima a loro stessi  pensavano al bene di noi figli.
Sono libero di intraprendere, ma rifiuto il diritto di intraprendere che lo Stato impone attraverso autorità di garanzia e di controllo che favoriscono questo o quel settore di attività. Col favorire la posizione di monopolio di aziende decotte e incapaci di sostenere la concorrenza, o col proteggere le persone che invadono gli enti pubblici con cariche incredibili di garante, si rendono indissolubili privilegi oligarchici e corporativi.
Sono libero di creare e di disporre di tutto ciò che produco e possiedo sia con mezzi propri, sia usando quelli di terzi dai quali possa continuare a ricavare il giusto compenso per il lavoro prestato. Anche in questo caso, lo Stato non può ostacolarmi, sia come datore, sia come prestatore d'opera o di lavoro, con vessanti imposizioni di natura sindacale che risultano dal compromesso infame tra padronanza e sindacati, ai danni dello Stato. Basta produrre diritti peculiari a danno della comunità, e privilegi che abbattono la concorrenza nello scambio dei beni sul mercato.
Il collettivismo dominante ancora nella nostra società, favorisce questa o quella categoria di persone, secondo principi tra il paternalistico e il sociale e considera lo Stato come fondato sul diritto positivo, secondo il quale il cittadino debba agire inderogabilmente secondo quanto prescrive la legge.  Il cittadino deve essere invece libero di esprimere la propria volontà attraverso atti conformi a percorsi sui quali non possa, peraltro, essere indotto a fare ciò che nuoce alla comunità. In Italia, il legislatore usa un modello elusivo di legge: quella che definisce diritti e spesso fissa pene se i diritti non sono esercitati; incentiva l'attività in un settore a scapito di un altro; assiste le categorie deboli aumentando le imposte senza adeguare gli scaglioni di reddito sui quali queste sono applicate, confisca il profitto delle imprese facendole beneficiare di detrazioni condizionate alla presenza di disagi contingenti.  Si aggiunga che questo Stato, per fare cose elementari - come spostare un muro - impone regole, condizioni ostative e penali sulle inosservanze modali e formali alimentate dalla burocrazia. Inutile dire che la maggior parte dei nostri guai nascono dall'infame pasticcio che trae origine da ordinanze - come tali sono i Decreti legge e legislativi, Regolamenti attuativi e Decreti ministeriali - che tanto si allontanano dalla legge quanto più si assimilano alle grida manzoniane.

Lo Stato liberale come sopra auspicato non esiste, ma sembra utile immaginarlo.

Non credo che occorra giocare d'azzardo per spiegare, ed essere capito, che la libertà consista nel fatto che ogni individuo possa fare tutto ciò che vuole compatibilmente con i mezzi che dispone e con le capacità che ha. Occorre quindi pensare che la libertà sia un'entità che ricade sotto controllo del pensiero e dell'intelletto, non dell’individuo irresponsabile in quanto tale quale ancora oggi lo considera la Costituzione della nostra Repubblica, ma della persona cosciente e capace di formulare progetti per ottenere ciò che serve per soddisfare i bisogni.
Si osserva che l’Italia non è il paradiso terrestre, ma in ogni caso vorremmo viverci al meglio e in modo che ognuno possa raggiungere l’obiettivo al termine del percorso connaturato al proprio progetto. Nessuno può invocare una legge al riguardo, ma il cittadino deve godere (ma non sul piano del diritto) la piena libertà di fare e, nel contempo, sentirsi obbligato dalla legge per non agire in modo incompatibile al progetto degli altri. A tal fine, concludo, occorre riformare lo Stato, in tutti i suoi ordini ed organi, nel mutare le sue funzioni autoritarie di governo in quelle di indirizzamento e propagazione dei flussi culturali, sociali d economici attraverso istituzioni democratiche liberamente elette da cittadini che si associano in regime di comunità di interessi.

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