Alcune Costituzioni dichiarano chi sono le persone e sanciscono quali sono le loro libertà; altre confondono le persone col popolo e sanciscono i doveri da osservare per riconoscere il diritto di essere liberi; altre concedono i diritti alla sola classe dei lavoratori e, nel lavoro, individuano la fonte di ogni diritto; altre, infine, costituiscono comunità nelle quali l'individuo non ha altra scelta che quella di usufruire di ciò che gli viene concesso.
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Questo, della libertà e lavoro, è l'argomento centrale che progettavo di trattare sin da quando ho iniziato a scrivere in questo sito. Solo ora mi sento di affrontare un tema che rappresenta, a mio parere, il nucleo centrale dei problemi della nostra epoca.
Come ho già accennato altrove (v. Benessere non è felicità) il lavoro è un fattore di produzione come la terra, il capitale e l'impresa. Ognuno di questi si distingue per la caratteristica della remunerazione che gli è propria: la rendita per la terra; l'interesse per il capitale; il salario per il lavoro e il profitto per l'impresa.
Ricomporre il percorso del materialismo storico dove la produzione umana si ottiene solo dalla terra e dal lavoro, significa ricreare, secondo la tradizione giudaico-cristiana, l'epoca di Adamo ed Eva prima che mangiassero il frutto dell'Albero della Conoscenza; infatti furono puniti da Dio che segnò loro e la loro discendenza col peccato originale. Nella tradizione dell'antica Grecia fu pure prima che Prometeo rubasse il fuoco dalla fucina di Efesto destando le ire di Zeus. Prometeo fu punito con l'invio del vaso di Pandora contenente tutti i mali e le calamità che si sarebbero abbattuti sull'umanità.
La realtà è completamente diversa da quella che vorrebbero rappresentare i materialisti - in questi includo gli ambientalisti e gli animalisti - che pretendono di ricondurci ai tempi del paradiso terrestre.
Infatti l'uomo, pur conservando, in molti casi, istinti animaleschi, non è capace di vivere solo di rapina e razzia, ma sa articolarsi tra i quattro fattori di produzione procurandosi i beni materiali e immateriali che gli consentono un'esistenza qualitativamente superiore a quella necessaria alla sola sopravvivenza sua e della propria specie. Egli ricava dalla terra quanto gli serve per trasformare la materia in beni economici e socialmente utili: col suo ingegno (impresa), usando l'energia emanata dal corpo (lavoro) e con gli strumenti ottenuti attraverso l’accumulo del risparmio (capitale).
Tra questi fattori corrono stretti rapporti di interdipendenza con margini di sostituzione sempre più ampi per effetto del progresso scientifico e tecnologico che si è succeduto sino dall'origine dell'uomo, giungendo a tal punto che, potenzialmente, l'energia meccanica umana potrebbe essere utilizzata solo per scopi ludici o sportivi.
La dinamica formata dalla interazione tra i fattori ed i loro sistemi remunerativi sono alla base del paradigma che caratterizza la nostra moderna economia, alla quale si conformano tutte le organizzazioni mondiali di natura economica.
Il paradigma può realizzarsi e funzionare solo in ambienti di libero mercato.
Gravi ostacoli pesano sul funzionamento a regime di questo modello di economia che, peraltro, sembra essere l'unico possibile. I principali ostacoli li individuo come segue:
1. L’esistenza di Leggi Costituzionali antiquate ed inadeguate;
2. La pretesa di sovranità degli Stati su materie per le quali hanno sottoscritto, in Accordi internazionali, formule compromissorie controverse (ad esempio il TTIP, trattato di liberalizzazione commerciale
transatlantico che ha l'intento dichiarato di modificare regolamentazioni e
standard, eserciterà effetti economici e sociali perversi sulle nazioni dell'Unione Europea prive di sovranità monetaria);
3. L’attribuzione di poteri in deroga ai principi di sussidiarietà.
Vengo al punto 1. Mi soffermo sul tema libertà e lavoro e scelgo la Costituzione Italiana perché coniuga questo binomio in modo che nessun altra Costituzione al mondo ha previsto.
I Costituenti stabilirono che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41.3) e, allo stesso tempo, che l'attività economica sia pubblica che privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41.2); il tutto in uno Stato - l'Italia - la cui sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1.2).
Ebbene, questi fondamenti allora fissati dall’Assemblea Costituente eletta col voto popolare il 2 giugno 1946, sembrano ignorare gli italiani come persone considerandole invece come popolo, qualificato solo come forza lavoro. Tutti, compreso i lavoratori siamo prigionieri nella gabbia di libertà negative e di proibizioni. Secondo tale principio, l'effetto sovranità riduce il cittadino ad agire a norma di legge dove i diritti sono dello Stato e non dell'attore. L'uomo politico, il magistrato, l'imprenditore, l'agricoltore, il professionista e l'artigiano non possono operare in assenze di norme per proporsi nei rispettivi ruoli esistenziali, per giudicare e per intraprendere e tutti per lavorare! Dove sono le libertà e le responsabilità che ne derivano?
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La Costituzione italiana inizia con l’enunciazione dei Principi fondamentali e all’art. 1 recita:
L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro.(1), La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione(2).
Il testo è diverso da quello del progetto originario quale fu presentato dalla Commissione per la Costituzione alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947:
L’Italia è una Repubblica democratica (1). La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese (2). La sovranità emana dal popolo ed è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.(3).
Dalla lettura comparata dei due testi traspare l’esclusione degli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti e degli esercenti le libere professioni che dovrebbero rientrare nella categoria dei lavoratori - pena la loro non “partecipazione” effettiva … all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Dalla partecipazione si passò alla fondazione e i lavoratori tornarono ad essere popolo sovrano dello Stato in cui il cittadino è individuo, privo di personalità ridotto a produrre, in modo coatto, sulla base di pianificazioni economiche e sociali.
La fondatezza di questa osservazione è avvalorata da quanto previsto dal Titolo I della Costituzione (artt. 13 - 28) dove i rapporti civili sono regolamentati non secondo il principio che consente al cittadino di esercitare la propria libertà laddove la legge non proibisce (Libertà negative), ma secondo quello che al cittadino è consentito di fare solo ciò che la legge prevede (libertà positive) abbandonandolo al continuo sospetto di commettere un reato per colpa od omissione.
Allora sembrava ridicola l’idea di una repubblica di tal fatta, ora capiamo quanto sia stata devastante la demagogia comunista e l’allora nascente e già temuta omologazione a sinistra dei democristiani di Dossetti, ai quali De Gasperi fortemente si opponeva.
Il passaggio in peggio è documentato dal resoconto sommario della seduta della Commissione per la Costituzione di mercoledì 22 gennaio 1947 - Presidenza Tupini, dalla quale risulta che l’unica, logica e perfetta formulazione dell’art.1 sarebbe stata quella di accettare la proposta di Togliatti:
L’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori (1)
Questa formulazione avrebbe portato l’Italia ed esprimere con più chiarezza la sua vocazione sovietica e ciò è dimostrato dal fatto che nello stesso anno 1947 URSS si era data una nuova costituzione riformando quella del 1936:
Articolo 1 - L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno stato socialista degli operai e dei contadini.
Gli articoli 41 e 42 della nostra Costituzione, invece, in modo subdolo e col diffuso principio di esaltare il Lavoro quale unica fonte di libertà (ma libertà negative) danno conferma che la proprietà non è libera, ma vincolata al punto che, legalmente e con atti parlamentari, lo Stato può, di fatto confiscarla[1] ai privati (come lo dimostrano gli annosi e, per fortuna, sopiti tentativi di trasferire rete TV-4 di Mediaset sul satellite).
Art. 41 L’iniziativa economica privata è libera.(1) Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.(2) La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.(3)Art. 42 La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.(1) La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.(2)La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.(3) La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.(4)
Quanto precede non risponde a principi di libertà, perché la libertà concessa col criterio “non sta scritto perciò non puoi fare” significa essere vincolati in ogni propria azione.
Giovanni Demaria[2] non è più tra noi per testimoniare, oltre all'impegno accademico, anche quello politico che lo accompagnò nei tempi di repubblica in fasce, nel presiedere, su proposta di Pietro Nenni, la Commissione economica per la formulazione degli aspetti economici della carta costituzionale. Non fu ascoltato. Ancora oggi trasecolo pensando che un cattolico come Giuseppe Dossetti si sia prestato a costruire un’endiadi, formata da individui considerati come popolo separato dagli italiani. Così, nella DC, ebbe origine la politica delle convergenze parallele, nel vano tentativo di riunire gli italiani in un sol popolo.
Oggi è passato ancora tempo e non scrivo ciò che è avvenuto dopo altre due elezioni successive (2008 e 2013) perché sia chiaro che il tempo politico italiano è ancora fermo agli anni del dopoguerra.
· Al neoeletto Presidente della Repubblica italiana, nel giorno del suo insediamento, formulo questo augurio.
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[1] La confisca è ammissibile solo nel caso di patrimoni giacenti senza il loro utilizzo o perché utilizzati illegalmente.
[2] Giovanni Demaria nasce a Torino il 5 dicembre 1899. Dopo aver combattuto come ufficiale di artiglieria nella Prima guerra mondiale, si laurea all’Istituto superiore di commercio (ora facoltà di Economia) di Torino e successivamente a Venezia, a Ca’ Foscari, con Gustavo Del Vecchio, che da allora considererà sempre suo maestro. Dopo aver vinto il concorso nel 1929 ed essere stato chiamato a ricoprire la cattedra di economia politica dell’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Bari, Demaria si reca per un biennio, con una borsa Rockefeller, negli Stati Uniti e, poi, a Londra e Berlino. Nel 1934 è chiamato all’Università Bocconi. Di questa università è rettore, subito dopo la Seconda guerra mondiale, fino al 1952. Dirige il «Giornale degli economisti» dal 1939 al 1975 (con un’interruzione nel 1942, quando è costretto dal regime fascista a dimettersi, e nel triennio 1943-45, quando il «Giornale» viene soppresso). Subito dopo la guerra, insieme con Luigi Einaudi, Del Vecchio, Epicarmo Corbino e altri economisti, Demaria partecipa alla ricostruzione dell’Italia, fra l’altro presiedendo la Commissione economica per l’assemblea costituente. Presiede la Società italiana degli economisti nel triennio 1955-57. Demaria muore a Milano il 12 aprile 1998, socio dell’Accademia nazionale dei Lincei, dell’Istituto lombardo Accademia di scienze e lettere, dell’Accademia delle scienze di Torino, dell’Accademia dei georgofili di Firenze, dell’Accademia pontaniana di Napoli, dell’Accademia delle scienze di Bologna, dell’Accademia delle scienze di Bari, della Royal statistical society, della Mont Pelerin society, della Société européenne de culture, dottorehonoris causa dell’Università di Parigi, Sorbona (1964), e membro straniero dell’Institut de France, Académie des sciences morales et politiques.(Treccani - Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Economia -2012).
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