I bambini adorano parlare a se stessi, anche quando non sono ancora capaci di comprendere il significato delle parole che dicono. (D.C.Dennet)
Alcuni nativi di Roma, trascurando qualche
regola di grammatica e di sintassi, hanno la convinzione che "nessuno
nasce imparato". Costoro sostengono inconsciamente le ragioni di Aristotele
(tabula rasa[1]), mentre
le idee di Platone risultano loro incomprensibili. Lo scorrere delle ombre nel
fondo della caverna[2] non
convince e questa immagine risulta troppo sfocata per capirla.E qui entrambi m’incatenano ancora al
dilemma: ha ragione Aristotele o Platone?
Entrambi pensano che, appena tagliato il
cordone ombelicale, il nascituro vagisca e si alimenti al seno materno senza un
suo intervento volontario e i genitori vedono nella loro creatura una persona già
autonoma che sa come conquistarsi l'affetto per sopravvivere: prima col pianto
e, pochi mesi dopo, con un meraviglioso sorriso!
I genitori, come primi educatori, insegnano al
neonato ad esprimersi col pianto sulla traccia di un semplicissimo schema
fondato sul soddisfacimento dei bisogni più elementari.
Dopo i giorni del pianto, qualche volta esteso al limite della sopportazione per ottenere coccole e di quant'altro abbia bisogno, il neonato diventa bimbo e sorride consciamente (è meno faticoso sorridere che piangere) sino a quando, ormai cresciutello - il pianto cessa ed esprime con parole proprie, le sue esigenze.
Dopo i giorni del pianto, qualche volta esteso al limite della sopportazione per ottenere coccole e di quant'altro abbia bisogno, il neonato diventa bimbo e sorride consciamente (è meno faticoso sorridere che piangere) sino a quando, ormai cresciutello - il pianto cessa ed esprime con parole proprie, le sue esigenze.
Raggiunta l'autosufficienza in tempi
relativamente brevi, i genitori potrebbero abbandonarlo a se stesso appena
richieda di intraprendere un percorso di vita in base ad un suo progetto.
Tuttavia, perché ciò avvenga, occorre che il
progetto sia attuabile e che il giovane sia accompagnato da
tutori che interagiscano con lui, che lo sollecitino nello scoprire le
attitudini e che lo preparino a contenere le passioni; insomma, che lo
sostengano in un progetto di vita coerente con le sue capacità.
Per primi, sono i genitori che devono assolvere
a questo compito educativo, trasmettendo istintivamente
il loro modello esistenziale. I genitori vedono nei figli l'estensione di loro
stessi e il loro istinto s'identifica nell'intenzione di educarli come loro emancipandoli perché anche loro siano partecipi nella società civile.
In tempi remoti non c’era la televisione e il cinematografo.
Platone, persona intelligentissima, già sapeva a cosa sarebbe servita. Dietro a
sagome raffiguranti oggetti e persone, accese un enorme falò in modo da
dirigere le ombre all’imbocco di una caverna. Sul fondo immaginò che ci fossero
i prigionieri che, come i bambini, nulla vedono dal vivo nel mondo se non con
gli occhi dei genitori. I prigionieri traggono concetti in rapporto ad una
realtà che si svolge in confini che non oltrepassano la cella e il percorso per
trascorrere l’ora d’aria; i bambini quella della via e del cortile di casa ma
entrambi, come immaginava Platone condizionati da scritti, voci e immagini che
oggi appaiono interattivamente sul tablet che, all’acquisto, è tabula rasa.
Oggi, come allora, occorrono circa vent'anni
per giungere all'età adulta: vent’anni percorsi dall'interazione tra il giovane
che ha in sé la capacità di assimilare osservazioni e trasformarle in
linguaggio per interagire con le persone che gli stanno accanto. Il tutto perché, al termine, elabori un pensiero e dia corso all'azione.
Il periodo è tanto lungo quanto è complesso
il bagaglio formativo richiesto dal ruolo che vorrà svolgere nella società. D'altra parte è tanto breve quanto il complesso di
attitudini individuali ed il livello di aspirazioni sono correlate alle capacità
intellettive ed attitudinali.
°°°
Per capire il meccanismo formativo cito qualche
frase dal capitolo Dove nascono i pensieri che Daniel C. Dennet scrive nel suo libro "Dove nascono le idee", dal quale si desume quanto
sia importante che il processo inizi sin dalla prima infanzia e duri sino a
quando le etichette verbali diventino elaborate
fino ad arrivare alla semplice rappresentazione mentale, capace di richiamare
tutte le associazioni appropriate:
(...) Ora, è mia opinione - e non solo mia - che il pensiero nasca con il linguaggio. Le parole ci rendono intelligenti perché semplificano il nostro orientarci nel mondo, creando punti di riferimento. Muoversi nel mondo astratto delle idee sarebbe impossibile, se non avessimo quei punti di riferimento memorizzabili e condivisibili che sono le parole.Dopo questa non breve citazione del Prof. Dennet, filosofo, esperto in intelligenza artificiale, Direttore del Centro per gli studi Cognitivi della Tufts University e che ha insegnato nelle principali università del mondo, osservo che è vero che un adolescente sia in grado di sopravvivere con i suoi propri mezzi nella società; è altrettanto vero che il distacco dalla famiglia debba avvenire non prima che il processo formativo sia compiuto in modo che sia capace di mantenere il percorso lungo il proprio progetto. Questo tempo deve essere tanto più lungo quanto sono numerose e complesse queste "etichette verbali", semplici nel loro significato ma complesse nel loro insieme, per elaborare quei pensieri che gli saranno indispensabili nella vita adulta che non sarà quella di campare, ma quella di esistere.
Nessun momento nella vita di un individuo è più significativo di quello in cui impara a parlare, avendo cura di sottolineare l'inadeguatezza del verbo "imparare", giacché è provato che l'essere umano è geneticamente predisposto al linguaggio. Secondo un'esagerazione cara al linguista Noam Chomsky, i bambini non hanno bisogno di imparare la propria lingua, perché hanno delle disposizioni di apprendimento innato che si adattano al contesto in cui vivono, esattamente come gli uccelli non si devono preoccupare delle loro penne per volare.
Ogni bambino impara in media dodici parole al giorno, per anni, almeno fino all'adolescenza. La fase iniziale di questo apprendimento è segnata dalle vocalizzazioni informi che il bambino emette nei primi due anni di vita e che costituiscono una sorta di cronaca privata del mondo.
I bambini adorano parlare a se stessi, anche quando non sono ancora capaci di comprendere il significato delle parole che dicono. Inizialmente sono i suoni a essere rievocativi, non le parole. L'abitudine a ripetere parole, pur non conoscendone il significato, crea legami di riconoscimento e di associazione tra le facoltà uditive e le correlate proprietà sensoriali. In altre parole, il bambino sta disponendo delle etichette verbali sul mondo circostante (...)
°°°
Questo, del distacco, è il punto chiave di
tutto il discorso: sono partito dalla "tabula rasa": i genitori
provvedono ad imbandirla di tutto ciò che occorre e ... meno tre, meno due,
meno uno .... boom: ecco spuntare dalla matrioska l'adulto efficiente, sapiente,
ricco sia fuori sia dentro![3] Ma questo è l’argomento che sarà oggetto di
esame nell’ultima parte del libro, nella quale parlerò della formazione
responsabile alla socialità.
[1]
Nell'antica Roma una tabula rasa era una tavoletta di cera cancellata in modo
da poter essere usata per riscrivervi sopra. Metaforizzato è il concetto
applicato all'intelletto. Esso allude alla mancanza di conoscenze a priori e,
quindi, alla totale potenzialità di acquisizione da parte di esso di qualsiasi conoscenza.
Con quest'espressione, già a partire da Aristotele, si è espressa l'idea che
l'essere umano nasce senza nulla di innato dal punto di vista mentale, tesi
contrapposta a quella che attribuisce più importanza alla componente biologica
nella formazione dell'intelletto e della personalità. Negli ultimi anni, alcuni
studiosi come ad esempio Steven Pinker, basandosi su studi su gemelli, casi di
adozioni o altri casi particolari, hanno sostenuto che il patrimonio genetico determina
almeno in parte (innatismo) le caratteristiche ed il comportamento
dell'individuo. (Wikipedia)
[2]
Il mito è incorporato nel testo del capitolo.
[3]
Al riguardo penso che debba essere rivisto il disposto dell’art. 2 del Codice
civile che stabilisce il compimento della maggiore età al diciottesimo anno.
L’emancipazione dovrebbe essere concessa in base a certe condizioni senza le
quali la capacità giuridica dovrebbe essere strettamente legata agli obblighi
scolastici e di formazione professionale. Attualmente la famiglia è
eccessivamente deresponsabilizzata e priva di autorità nei riguardi dei minori.
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Capitolo 20 di Oltre il tempo Vo. II - Persona e Società*
* I capitoli sono mostrati su questo blog, aggiornati per essere pubblicati successivamente su
I testi definitivi possono essere ritirati, prima della loro pubblicazione.
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