I politici formulano i loro
Progetti commissionando sondaggi. Ma la gente pensa davvero come dicono i
sondaggi?
La potenzialità delle tecnologie moderne oggi possono diventare il mezzo con cui le persone, scambiandosi opportunità per ottenere
vantaggi comuni, creano aree di sviluppo e di consolidamento nell’ambito
di progetti esistenziali percorribili in un clima sociale consapevole.
A tal fine i progetti
devono fondarsi sui modelli esistenti: analizzarli, stabilirne i punti di
debolezza e portarli a termine con programmi di emancipazione civica in cui
sono individuate aree di sviluppo e aree di consolidamento per raggiungere
finalità compatibili con lo sfruttamento delle risorse disponibili. Questo
modello, oggi, è quello al quale si conformano socialisti e liberali ognuno dei
quali dovrebbe alternarsi nella conduzione politica muovendo le loro azioni ora
stimolando Residui di I Classe ricadenti nella istinto delle combinazioni e ora
quelli di II Classe ricadenti nella persistenza degli aggregati. Ma qual è il
modello migliore?
A mio parere, non è possibile la coesistenza di
due modelli contrapposti. Un modello sociale non può che essere unico e
riferirsi a un'Unica Idea.
· Il Residuo operante con lo sfruttamento delle
risorse con la speranza di realizzare la vivenza che si considera
indispensabile per il benessere sociale e per la felicità che si presume di
tutti, oppure
· il Residuo operante con lo sfruttamento delle
risorse con la speranza di realizzare, con le risorse disponibili, una vivenza
che si considera indispensabile per il benessere di ognuno nella società e per
la felicità che ognuno pensa di realizzare per se stesso?
Ancora una volta Vincenzo Fano mi
viene in aiuto, ed ora, in particolare, per completare il secondo volume del
libro e per segnare l’inizio del terzo.
Il 12
gennaio 2009 pubblicava sul suo blog il post intitolato Kant, la morale e John Ralws.
Lo ricopio:
All’inizio
del § 7 del I libro della Prima parte della Critica della ragion pratica (A
54), Kant enuncia quella che chiama la legge fondamentale della ragion pura
pratica, “Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere
come principio di una legislazione universale”. In pratica l’imperativo
categorico non è basato su una serie di obbligazioni determinate, come, ad
esempio, i comandamenti, bensì su un metodo per determinare di caso in caso che
cosa dobbiamo fare. Non è detto, ad esempio, che “non uccidere” sia sempre
giusto. In ogni situazione dobbiamo valutare che cosa dobbiamo fare e giungere,
attraverso il mero ragionamento, all’obbligazione di quella singola
fattispecie. Secondo Kant, esiste un modo del tutto a priori di stabilire tale
obbligazione. Ad esempio, non possiamo non mantenere una promessa, perché se non
la mantenessimo andremmo contro il concetto stesso di promessa. Non credo che
oggi possiamo più condividere una siffatta fiducia nella ragione. Ciò malgrado
l’imperativo kantiano non ha perso il suo valore. Vediamo perché. Possiamo
provare a darne un’interpretazione utilitaristica: “opera in modo che se tutti
facessero la stessa cosa in quella situazione la felicità degli uomini
globalmente aumenterebbe”. E’ chiaro che se tutti mantenessimo le promesse,
staremmo tutti meglio. Sappiamo però che l’utilitarismo non tiene conto della
distribuzione della felicità. E allora si può ripensare l’imperativo kantiano
come ha fatto John Rawls: “Opera in modo che se tutti agissero così in quella
situazione e tu fossi una qualsiasi delle persone coinvolte nella tua azione,
saresti comunque soddisfatto”. E’ chiaro che non ti converrebbe non mantenere
una promessa, ma neanche rendere molto felice Tizio a scapito di Sempronio,
come potrebbe accadere in una prospettiva utilitarista. Credo che sia qualcosa
del genere che ci comanda la ragione. E lo scettico potrebbe dire: “E se io non
seguissi quell’imperativo?”. Beh, se tu non lo seguissi una volta, forse ti
andrebbe fatta bene, ma una vita che è sistematicamente contro quel
comandamento ha più probabilità di essere infelice che felice. E tanto basta
per fondare una morale.
Senza aggiungere altro riporto qui sotto i due
commenti: quello di Eugenio ed il mio rispettivamente del 13 e del 25 gennaio
2009.
Sulle
questioni legate al fare e non fare io ho trovato in Gandhi un faro unico e
insuperato. Gandhi ha una marcia in più rispetto a molti (fra tutti quelli che
conosco io almeno) perché lavorava con la morale come se fosse una materia
scientifica. Gandhi era essenzialmente uno sperimentatore (e come tanti
sperimentatori è morto in laboratorio). A volte ci arriva l’immagine di un
Gandhi santo, altre di un Gandhi oscurantista, la verità è che invece Gandhi fu
soprattutto uno scienziato e un artista che ha sempre declamato la
provvisorietà di ogni risultato da lui raggiunto (“posso cambiare idea in
qualsiasi momento” diceva sempre). Ad esempio, molti non sanno che Gandhi
poneva deroghe anche sull’omicidio, in alcuni casi in Gandhi uccidere un altro
Persona non è solo legittimo, ma necessario
Se
posso parlare un po’ in generale, mi viene da dire che la cattiva luce con cui
qui (in Italia almeno) viene illuminato Gandhi è che viene sempre usato come
esempio di passività per giustificare il nostro DNA sinistro e stalinista per
ammazzare a destra e a manca in nome della giustizia sociale.
Commento
di Eugenio — gennaio 13, 2009 @ 10:29 am
In qualche parte dei commenti sui nostri
blog, il Venditore
di dubbi (Piccochiu) cita Pascal: “Bisognerebbe che non si potesse
dire di uno: ”E’ un matematico”, né “è una persona eloquente”, ma
“è
un galantuomo. Questa qualità universale è l’unica che gli
piace”. Ora, sempre a proposito di Kant, Vincenzo ci dice che “non
possiamo non mantenere una promessa, perché se non la mantenessimo andremmo
contro il concetto stesso di promessa”.
Ho avuto occasione di trattare sul mio
blog il tema dal titolo “Verità e credibilità” con riferimento alle
promesse fatte dai candidati nel corso delle scorse elezioni politiche.
Trascrivo, qui di seguito, parte del brano, riservandomi - poi - di gettare un
sasso nello stagno in favore di Kant.
“Il programma politico è un
progetto organizzativo riguardo ai flussi di risorse per giungere ad avverare
la promessa politica. Perché sia vera la promessa occorre che l’agente politico
abbia la piena governabilità delle risorse, da una parte; dall’altra che le
intenzioni non si discostino dall’effettiva promessa quale è stata dichiarata.
Così sembra, ma è solo
un’illusione perché l’efficacia della politica non si misura in base
all’assunto:
Credibilità
= Intenzione –> Promesse –> Verità
I tre casi mostrati qui sotto, combinati tra di
loro, dimostrano che l’efficacia politica, debba essere valutata dai fatti che
derivano dalle azioni e non dal rapporto credibilità/verità fondato sulle promesse.
Il soggetto politico si propone confezionando il proprio programma in relazione
alle risorse che disporrà dopo essere stato eletto e le azioni le compirà in
relazione ai fini che vorrà/dovrà raggiungere. Pertanto dà al suo programma una
veste convincente sulla base della ideologia già fortemente condivisa tra i
suoi elettori e parteciperà ai comizi:
·
Con la promessa limitata alle sole risorse
disponibili, con l’intenzione di realizzare quanto promesso esattamente come
dichiarato.
·
Con la promessa di sfruttare le risorse nei
limiti di quelle disponibili o di quante altre potrà disporre, con l’intenzione
di realizzare quanto promesso in modo consciamente diverso da come dichiarato.
·
Con la promessa generica collegata all’ideologia
tradizionale collegando risorse indefinite con l’intenzione di agire
esclusivamente per recare il minor danno al proprio potere, quando lo
eserciterà.
Le tre proposizioni, così come formulate,
non danno nessun risultato, in termini di verità e di credibilità; perché nei
tre casi il soggetto politico potrà essere indifferentemente credibile, dire il
vero ed essere galantuomo; oppure credibile, dire il vero e non essere galantuomo;
oppure essere credibile non dire il vero ed essere galantuomo, oppure essere
credibile, non dire il vero e non essere galantuomo. L’importante è che appaia
credibile, altrimenti nessun partito lo candiderebbe.
Ritengo che l’elemento essenziale che
caratterizza il soggetto politico, non è che dia mostra di essere veritiero o
galantuomo, ma che sia credibile per il target che vuole rappresentare.
La prima promessa sembra essere quella più
vicina a soddisfare la condizione credibilità/verità, ma potrebbe invece essere
quella di minore efficacia al punto di scontentare tutti.
La seconda promessa, più realistica, è
peraltro più rischiosa, più credibile ma solo in apparenza, perché, nei fatti,
l’intenzione sarà diversa dalla promessa.
La terza promessa, infine, sembra la più
credibile perché risulterà vera a prova dei fatti, ma non è detto che sarà la
più efficace giacché il risultato porterà alla totale perdita di consenso.
Il consenso si ottiene sulle cose fatte e
non sulle cose vere o false, o sull’onorabilità dell’attore politico.
A mio parere, con riferimento alla
situazione politica nel nostro paese, il candidato dovrebbe orientarsi alla
promessa di tipo b.: usare le risorse con l’intenzione di realizzare quanto
promesso in modo consciamente e sostanzialmente diverso da come dichiarato. E’
l’unica via coraggiosa da seguire quando, per mettere le cose a posto, si
devono scontentare molte persone che godono di poteri forti”.
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Sembrerebbe proprio che essere galantuomini non dipenda dal dire il vero. Si dedurrebbe che un bugiardo potrebbe essere galantuomo. Gli è che nessuna azione del politico è sorretta da principi inconfutabili. Le cose dette dai politici per farsi eleggere riguardano scenari più o meno realistici che si muovono secondo tendenze dinamiche poco prevedibili sui quali il candidato costruisce argomentazioni che soddisfino l’elettorato.
Sembrerebbe proprio che essere galantuomini non dipenda dal dire il vero. Si dedurrebbe che un bugiardo potrebbe essere galantuomo. Gli è che nessuna azione del politico è sorretta da principi inconfutabili. Le cose dette dai politici per farsi eleggere riguardano scenari più o meno realistici che si muovono secondo tendenze dinamiche poco prevedibili sui quali il candidato costruisce argomentazioni che soddisfino l’elettorato.
La “galantuomità”? Dipende tutta dalla
preparazione, dall’onestà intellettuale e dalle lobby frequentate che in Italia
risultano essere tutte fortemente consociate.
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Gandhi è grande. Ma in India risulta ancora esserci caste ed esseri umani impuri: gli intoccabili!
Gandhi è grande. Ma in India risulta ancora esserci caste ed esseri umani impuri: gli intoccabili!
Commento di pibond — gennaio 25, 2009 @
5:30 pm “
Concludo questo capitolo chiedendo se è
possibile agli indiani di abbattere la potente lobby contraria all’integrazione
dei paria
e agli italiani contrastare chi usa la politica e il sindacato per creare nuove classi di poveri, senza integrare tra loro quelle già esistenti,.
Un esempio? Quella dei divorziati, per lo più maschi, cacciati di casa che si recano alla mensa della Caritas.
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